venerdì 18 settembre 2015

Il cristallo di Chantal: una nuova famiglia


La luce scomparve e Annika fu di nuovo al buio, sentiva che era arrivato il momento di tornare a casa.
 
Non voleva che la matrigna si accorgesse della sua assenza.

Si stiracchiò con le braccia rivolte verso l'alto e le gambe distese.

-Brunilde torniamo a casa.-

Si guardò intorno e si accorse di essere sola. La chiamò, ma non la vide arrivare.

Guardò a terra sporgendosi un po', ma niente.

La gatta non c'era.

Scese agilmente dall'albero e continuò a cercarla poi cercò di imprimersi in testa che era una gatta randagia e che sicuramente le era venuta voglia di farsi un giretto da sola.

Si avviò verso l'uscita del bosco, camminò e camminò, ma presto si accorse che gli alberi non terminavano mai e che del sentiero sterrato non vi era neanche l'ombra.

Si sentì improvvisamente spersa e si meravigliò di questo, non si era allontanata molto dal limitare del bosco.
 
Era ancora notte e udiva i vari versi degli animali notturni.
 
Vagò per molto ma gli alberi non la abbandonavano.
 
Iniziò ad avere paura, Annika non si sentiva sola, era come se qualcuno la seguisse tra gli alberi, qualcuno di invisibile o dotato di una tale velocitá da potersi nascondere appena si voltava.

"Gli spiriti del bosco mi stanno braccando." Pensò poi si disse che erano tutte sciocchezze, ma quando iniziava a convincersi di ciò le veniva in mente la piccola ragazza luminosa.

"Se esiste lei chi sa quante creature misteriose popolano il bosco." Pensava e aveva di nuovo paura.

Nonostante amasse la notte, il bosco iniziò a metterle un senso di agitazione.


Non sapeva più che fare, il cielo stava schiarendo, la notte lasciava il posto all'alba e Annika decise di sedersi ad aspettare qualcuno a cui chiedere informazioni per poter tornare a casa.


"Livia mi punirà."

Si arrampicò nuovamente su un albero e li attese.

Quando udì quel rumore stava per assopirsi, adesso il sole era alto nel cielo e la ragazzina iniziava ad avere fame.

Era un rumore di passi, vicino. Sussultò.

-Chi è?- Chiese preoccupata -C'è qualcuno?-

Inizialmente non ebbe risposta poi vide un cespuglio muoversi. Guardò meglio e notò un uomo chino, intento a raccogliere dei rametti.

Si alzò e lei notò che raggiungeva a malapena il metro di altezza. Aveva dei lunghi capelli castani e la barba gli arrivava fino al petto.

Lui alzò la testa sentendosi osservato e la vide. 

-Che ci fai qui bambina? Non sai che è pericoloso avventurarsi nel bosco da soli?-

-Ecco la ramanzina dei grandi. Voi siete sempre così. Anche tu sei da solo - Rispose lei.

-Io ho la mia spada e so difendermi. Disse lui picchiandosi con una mano un fianco.

Una spada. Annika si meravigliò e i suoi occhi brillarono quando vide una meravigliosa arma bianca appesa alla cintura dell'uomo.

Si chiese dove fosse finita. Lui somigliava in tutto e per tutto ad una creatura fiabesca.

Provò una certa simpatia per quell'uomo. Ci fu qualche attimo di silenzio.

Lei lo osservava mentre era intento a far legna poi parlò.

-Mi sono persa, è da questa notte che cerco la strada di casa.- Disse ancora appollaiata su un ramo muovendo avanti e in dietro le gambe che penzolavano nel vuoto.


-Possiamo parlarne se scendi da quell'albero.- Disse lui con il naso all'insù. Annika fece ciò che lui le aveva detto.

-Dimmi dove abiti e ti riporto a casa.-.

Quando Annika fu a terra parlarono. L'uomo sembrò non conoscere il paese di cui Annika parlava e a lei sembrò strano visto che non si trovava poi così lontano da quel folto bosco.

-Sei piccola e a me i mocciosi non piacciono.- Facciamo così, ti porto a casa mia per toglierti da questo luogo pieno di pericoli e ti offro qualcosa da mangiare e poi te ne vai. Non voglio ragazzini tra i piedi.

Annika era felice, la aveva chiamata mocciosa ma a lei non importava più di tanto ormai si era abituata a quel nomignolo. Finalmente poteva mettere qualcosa tra i denti.

-Ti ringrazio.- Fece lei. Lo seguì come un cagnolino. Uscirono dal bosco che la opprimeva e la ragazzina si sentì libera.

Il cielo era costellato di nuvole non più oscurato dalle folte chiome.

Durante il tragitto Annika parlò molto ponendo all'uomo un sacco di domande.

-Come hai avuto quella spada?- L'uomo rispose solamente - L'ho comprata.

-Come si chiama il tuo paese?- Lui rispose con un nome che lei non conosceva. Poi scoprì che l'uomo si chiamava Parson e che adorava i draghi.

-I draghi?- Chiese lei sconcertata -Non esistono, però anch'io adoro i draghi, se esistessero farei di tutto pur di conoscerne uno, mi hanno sempre affascinato quelle creature. Perchè volano e io sogno tanto di volare sai? Poi sono enormi e imponenti.

-Ma quanto parli?- Chiese Parson scocciato. -Ecco il motivo per cui non mi piacciono i mocciosi come te. Parlano troppo e disturbano la quiete di una camminata tranquilla.-

Dopo circa mezz'ora raggiunsero la casa. Si trovava in un paesino di collina.

Era piccola e bassa formata da una sola stanza.

Annika dovette chinarsi per entrare dalla porta minuscola e anche all'interno.

L'uomo la fece sedere ad un tavolo in legno grezzo e le offrì della carne e un pezzo di pane duro.
 
-Non ho di meglio.- Fece lui. 

-Tu non mangi?- Chiese Annika, ma non ebbe risposta.
 
Durante il pranzo nessuno parlò.
 
Il sapore del cibo non era dei migliori, sapeva tutto di vecchio, ma Annika aveva una tale fame che divorò tutto in pochi bocconi.

-Adesso te ne vai.- Disse lui sdraiato in maniera scomposta su un letto di paglia fumando una pipa, creando dei cerchi con il fumo quando la ragazzina ebbe terminato il pasto. 

Non posso prendermi cura di te, devi tornare a casa. Tua madre ti sgriderà.-
 
-Non ho una madre.- Disse - Ne un padre, ne dei fratelli.-

-Sei un'orfanella?- Chiese lui.

-No, vivo con persone che mi odiano. Loro non sono la mia famiglia.-

-In ogni caso adesso vattene, cerca la tua casa e non tornare, ciò che dovevo fare l'ho fatto.-

Annika obbedì. -Grazie per il pranzo- Disse e si recò fuori.

Si sentiva spersa. Non conosceva quel paesino eppure si trovava a soltanto mezz'ora di cammino dal bosco.

Chiese informazioni ai passanti, nelle locande ma nessuno sapeva dirle niente.

Iniziava a spazientirsi e sedette a riflettere in una piccola radura vicino al paese. 

Era una distesa di erba con pochi alberi, un bosco non lontano e le montagne all'orizzonte.

Alle sue spalle un paese bellissimo, con piccole case in pietra ma sconosciuto. Annika si era persa.

-Dove sono?- Si chiese. -Perchè nessuno conosce il mio paese? Che strano, eppure credo di essere vicina, allora perchè non riesco a trovarlo?- Mise la testa tra le ginocchia e una lacrima scese dai suoi occhi.

Per la prima volta desiderò essere a casa. Stava per assopirsi, ma quando udì un rumore si riscosse. Era come uno scroscio d'acqua.

Alzò la testa e vide una ragazza, aveva qualcosa in mano e lo impugnava come si fa con un arco. Lo puntava verso un albero, una lingua d'acqua improvvisamente lo avvolse.

Annika scattò in piedi, non sapeva che fare, fuggire o assistere. Era meravigliata, com'era possibile una cosa simile? 
Si morse un labbro convinta di stare sognando e si accorse che era tutto reale.

"Forse puo aiutarmi."
Si avvicinò esitando e quando fu a qualche metro da lei notò che la ragazza le puntava l'arco contro. Annika era confusa.

-No, che fai?- Disse con voce tremante di paura.

Una freccia le volò incontro e lunga liana le si avvolse intorno al busto e alle gambe. Lei perse l'equilibrio e cadde a terra.

La ragazza le si avvicinò. Sembrava poco più grande di Annika.
 
Era graziosa almeno quanto lei. Una cascata di capelli biondi e ricci le correva fino a metà schiena e aveva grandi occhi verdi, chiari e profondi.

La ragazzina si fece prendere dal panico

-Che mi hai fatto? Chi sei? Cosa vuoi da me?-

L'allenamento consiste anche nel colpire un bersaglio mobile.
 
-Sei impazzita?- Urlò Annika. Era su tutte le furie. -Mi hai fatto morire di paura.

-Tranquilla, ucciderti non era mia intensione.- La ragazza si chinò, sciolse abilmente la liana e la aiutò ad alzarsi.

-Chi sei? Avevi bisogno di qualcosa?- Chiese gentilmente.

-Mi chiamo Annika e ho perso la strada- Le raccontò con ogni dettaglio com'era il suo paese e che si trovava vicino ad una grande città con alti grattacieli.


-Grattacosa?- Chiese la ragazza -Piccola, credo che tu sia molto stanca. 
Ti invito nella mia dimora così potrai riposarti. Ti va?-

Annika annuì, era stanca anche per porsi altre domande.

Giunsero di fronte a una casa in pietra con una porta in legno, era molto più grande di quella di Parson infatti la ragazza era alta e magra.

La invitò ad entrare e Annika timida fece ingresso nella casa.

Era formata da più stanze.

Subito all'entrata vi era una sala che odorava di legna bruciata con un focolare spento, ma ancora fumante, delle mensole colme di barattoli, una madia e un tavolo in legno nodoso in mezzo.

Il pavimento era in pietra come quello della casa di Parson.

La attraversarono e la ragazza aprì una porta che dava in una stanzina. 

In un canto si trovava un piccolo giaciglio di paglia, unico arredo della stanza, insieme ad uno specchio polveroso.

Lei la invitò a sdraiarsi, era scomodo, ma ad Annika non importava.

-Che maleducata, non mi sono neanche presentata, mi chiamo Gwen.- Fece la ragazza.

-Gwen, questo luogo è così strano.- Disse piano Annika priva di forze.

-Adesso riposati, sei soltanto molto stanca, dopo un sonno ristoratore niente ti sembrerà tanto strano vedrai.- Si avviò verso la porta e questa si chiuse alle sue spalle.

Quando Annika si svegliò era sera, il cielo scuro e una leggera pioggia che batteva alle finestre. Si mise a sedere poi si alzò.

Andò dinanzi allo specchio e fece un cerchio sulla polvere con le dita tingendosele di nero.

Un odorino delizioso proveniva dalla stanza accanto. Con la mano pulita si sistemò i capelli in fretta e si recò nel salotto.


Una donna, di spalle, con la schiena coperta da lunghi capelli ricci e scuri stava mettendo qualcosa al fuoco.

Non era Gwen e la ragazzina si sentì prendere dall'imbarazzo.
 
Stava per tornare nella stanza da letto che la donna parlò.

-Vieni, entra.- Annika mosse qualche passo e si arrestò.

"Cosa sto facendo? Questa non è casa mia. Sono fuori da un giorno, Livia mi sgriderà. Non posso stare ospite qui a lungo. Metterò qualcosa tra i denti e me ne andrò."

-Non essere timida per tutti i draghi.- La donna si voltò, era giovane, sui trentacinque. La guardava sorridendo con i suoi occhi chiari.
 
- Povera piccola, siedi.- Annika prese una sedia in legno e sedette.

-Gwen ti avrà fatto prendere sicuramente uno spavento con quell'arco. È sempre con lei e certe volte fa cose che non dovrebbe fare quella peste.-

Lei ripensò all'accaduto. -Una ragazza con un arco. Una freccia che si trasforma in liana. Era forse una magia?- Chiese, poi ci pensò su

"Che domanda stupida, non esiste la..."

-Si - Fece la donna come se stesse rispondendo alla domanda più ovvia al mondo. Annika non potette credere a ciò che aveva appena udito.

-Non prendermi in giro, dimmi che sto sognando.-

-Non stai sognando. Come puoi non credere alla magia quando sei a Jastel? Hai ancora bisogno di riposare.- Chiese la donna con gentilezza.

-No sto benissimo.- Sussurrò la ragazzina confusa adagiandosi allo schienale della sedia.

La donna si accucciò alla sua altezza e sorrise. -Sono Hexell e che tu ci creda o no sono una maga.-


Detto questo si levò in piedi e sfiorò il manico di una scopa- Questa iniziò a scorrazzare per la casa facendo scomparire ogni granello di terra superfluo.
La ragazzina si lasciò sfuggire un'esclamazione di stupore. -Non è possibile!-

-È carina non è vero?- Disse Hexell contemplando il suo ottimo lavoro sulle pietre grezze e irregolari dell'arrangiata pavimentazione. Adesso erano grigie e lucide.

Annika non rispose.

-Qualcosa non va?- Chiese dolcemente la maga vedendola ancora più confusa.

La faceva sentire a suo agio quella donna. Sembrava volerle già bene con quel suo sorriso stampato sulle labbra e la sua pazienza con una sconosciuta.

Annika sentendosi a suo agio iniziò a raccontare che sembrava un fiume in piena.

Le parlò della matrigna, dei lavori che doveva sbrigare ogni giorno, le disse che era scappata di casa e la donna la ascoltava con pazienza, ma quando iniziò a raccontare della piccola ragazza luminosa la maga la fermò.

-Una piccola ragazza luminosa?- Dimmi, il tuo mondo si chiama Jastel?-

La ragazzina scosse la testa in segno di diniego.

-Si chiama Terra e adesso non dirmi che sono capitata in un luogo magico e che qualche creatura sopranaturale mi ha portata qui perchè non...-

Hexell scoppiò a ridere. -Se è magico l'hai visto con i tuoi occhi.- Le prese una mano.

-Vieni con me, ho qualcosa che vorrei mostrarti.-

Si diressero in una piccola stanzetta senza finestre. Non c'era bisogno di illuminare perchè a far luce c'erano delle piccole creature luminose, simili a quella che aveva incontrato nel bosco.

Annika rimase a bocca aperta. -Sono tantissime.-

Ci fu qualche istante di silenzio, poi fu la maga a parlare.

-Allora Annika, era qualcosa di simile a queste creature la piccola ragazza che hai incontrato nel bosco?-

La ragazzina iniziò a capire e non voleva crederci.

-S...si -.

La maga scoppiò a ridere, di nuovo. -È molto semplice allora. Sai cosa sono questi?-

Annika scosse la testa.

-Fuochi fatui e lo sai qual'è il loro potere?-

Lei ci pensò su, poi rispose. -Quello di far viaggiare tra i mondi?-

-Esatto. Non tutti però hanno questo potere, soltanto alcuni e soltanto ad Halloween possono far viaggiare tra i vari universi. È una cosa molto rara ma è capitato che persone o oggetti si perdessero nell'universo senza poter più far ritorno nel loro luogo di origine. In questo caso tu sei capitata qui a Jastel.-

Adesso che sapeva Annika non era più confusa ma comunque incredula.

-Un altro mondo. È incredibile.- Sussurrò lei, poi i suoi occhi parvero illuminarsi ricordando ciò che Parson le aveva detto.

-I draghi, esistono i draghi qui a Jastel non è vero? La ragazzina corse fuori senza aspettare risposta e guardò il cielo. Vide che era coperto dalle nuvole, ma non vide nessuna di quelle creature. Fece una faccia sconsolata.

La maga le posò una mano su una spalla. -Avrai tutto il tempo per vederne visto che dovrai restare qui. Ormai nel tuo mondo non potrai più far ritorno.-

Gwen rientrò che il pranzo era già in tavola. Fu servito ogni tipo di prelibatezza.

Una minestra che dal sapore somigliava alla zucca e della carne, che però aveva una consistenza diversa dal solito, era morbidissima e quasi si scioglieva in bocca.

Una cosa che ad Annika parve strana fu il modo di mangiare.


Non utilizzavano ne forchette ne cucchiai. La minestra veniva bevuta direttamente dalla ciotola.

Gwen e la maga sorseggiarono il contenuto con grazia, la ragazzina invece dovette pulirsi più volte la faccia prima di terminare ciò che aveva nel piatto.

I cibi più consistenti venivano infilzati con un bastoncino o presi direttamente con le dita.

Ad Annika, quel per lei nuovo tipo di carne piacque particolarmente.

-Che cos'è?- Chiese con curiosità.

-Carne di uduru, un uccello che vive nei boschi dei monti Harvares.- Spiegò 
Gwen. -Mi sono impegnata parecchio in questi giorni a cacciare.-

-Vedo, ce ne sono in abbondanza.-

Seguirono, verdure, formaggi, un dolce e degli strani frutti.
Ognuno di essi aveva una sfumatura di colore diverso da gli altri.

Il sapore era molto particolare e ad ogni colore corrispondeva un gusto. Alcuni erano dolci e succosi, altri così aspri che la ragazzina non riuscì a trattenere una piccola smorfia.

Gwen scoppiò a ridere vedendo la sua facci.

-Terribili vero? All'inizio è così, ma prima o poi riuscirai ad abituarti.
Adesso sono i miei preferiti, gli altri stuccano.-

Decisero di dividerseli secondo il sapore che ognuna delle tre preferiva e li divorarono con gusto.

-Senti un pò, tornando alla scopa - Disse ad un tratto Annika guardando la maga di sottecchi e accennando un sorriso furbetto.

-Riusciresti a farla volare per me?-

Hexell parve incredula -Vuoi volare su una scopa? Quella è una cosa da streghe. Ti scambierebbero per una discepola di Lilian o peggio.-


-Cosa?-

-Un'antica leggenda cara. Volevo vedere se ci credevi- Disse, poi si lasciò sfuggire una breve risata.

-Comunque no. Non potrei volare neanch'io con questa.

Per fare ciò dovrebbe avere magia propria e questa non ne ha affatto oppure dovresti essere una strega e se tu lo fossi a quest'ora ti sarebbe già volata tra le braccia.

Io posso far fluttuare piccoli oggetti, ma non persone, per questo bisogna essere maghi ben più potenti. Non ne ho la forza. La magia non è niente di scontato, anche quella richiede sforzi e i poteri magici dopo un pò stancano il mago. Non posso utilizzarli a lungo soprattutto il solito incantesimo.

Se lo desideri tanto cerca un drago, almeno loro fanno un po di compagnia non credi.

La ragazzina sorrise di nuovo. -Beh, in effetti.- Fece una pausa -

-Scusami Hexell. Io non conosco la magia. Secondo me con essa si può fare tutto e ottenere ogni cosa -.

Non è così bambina mia non è così almeno per me.- Fece la maga mentre con un dito creava una pila perfetta di piatti trascinandoli verso un bacile in legno.

Annika la guardò divertita poi chiese -Perchè almeno per te?

La maga era impegnata nel suo lavoro e le rispose come se non volesse essere disturbata. Tagliò corto -Lo scoprirai bambina mia, lo scoprirai col tempo.-

Dopo aver visto l'arco degli elementi di Gwen e le magie di cui era capace Hexell, Annika iniziò ad aspettarsi ogni stranezza da quel mondo.

-A me le leggende piacciono un sacco sai? Ne conosco molte della mia terra. Mi piacerebbe conoscerla quella di Lilian. Non è che per caso potresti...-

-Non conosco leggende terrestri cara ma quella di Lilian non è niente di buono credimi.- La interruppe la maga maledicendosi di aver iniziato il discorso.

Gwen si insospettì sentendo ciò che dicevano la ragazzina e la maga riguardo ad un altro mondo e al fatto che Annika non conoscesse le regole della magia e quando lei le spiegò tutto ciò che era accaduto, Gwen si infuriò.

Picchiò un pugno sul tavolo facendo vibrare ciò che si trovava su di esso e si levò in piedi -Hai fatto sfuggire i fuochi fatui, è così?-

Esclamò rivolgendosi ad Hexell - Ti rendi conto di ciò che hai fatto Adesso Annika non potrà più tornare a casa.-

La maga si fermò smettendo di lavorare

-Non è colpa mia se passano attraverso la porta.- Disse senza voltarsi.

-Potevi creare una barriera.-

Non ho il potere per creare una barriera perenne.- Replicò la maga -Annika da ora in poi vivrà qui con noi. Non può più tornare a casa e non voglio lasciarla vagare da sola per strada.-

Sentendo questo la ragazzina si sentì ancora più in imbarazzo.

Vivere con loro, in una casa che non era la sua. Come avrebbe potuto ricambiare il favore?

No...ecco...io- Non sapeva che dire. Avrebbe preferito fare una vita selvaggia e vivere nei boschi che essere a carico di persone che oltretutto non conosceva.

Si fidava già di loro, erano persone tranquille ed ospitali, ma non voleva essere un peso per nessuno. Aveva sempre desiderato una famiglia e sentiva che Gwen ed Hexell erano quella giusta per lei, ma nel contempo non voleva.

-Niente storie, tu da oggi vivrai con noi. Se vorrai ricambiare il favore al massimo potrai svolgere qualche lavoretto che la magia non ci consente di fare. O accetti o vuol dire che non gradisci la nostra compagnia - Disse la maga trovando una scusa per convincerla.

Annika non sapeva più che dire. -Va bene, se proprio insisti.- Sussurrò -Spero di non recare alcun fastidio.-

I volti di Hexell e Gwen parvero illuminarsi dalla gioia. Anche Annika sorrise, questa volta non fu un sorrisetto imbarazzato.

Era felice, il suo desiderio si era finalmente realizzato.


Una nuova famiglia.

mercoledì 16 settembre 2015

Il cristallo di Chantal: come tutto ebbe inizio


Eccomi qua con un nuovo capitolo. Da qui inizia la storia vera e propria. 

Spero vi piaccia!

Ad ottobre un freddo simile era del tutto inusuale.

La neve scendeva lenta imbiancando la pianura.

I piccoli fiocchi sembravano dilettarsi in un'elegante danza nell'aria. A passo veloce si dirigeva verso casa, attraversando un piccolo sentiero al limitare del bosco.

Annika, tredicenne dai capelli lisci e neri come il cielo di notte, corporatura esile e grandi occhi di un azzurro intenso.

Nel silenzio della sera risuonava lo scalpiccio dei suoi piedi sul manto bianco.

 
Giunta davanti alla porta di casa bussò con tutta la sua forza - Sono tornata - Esclamò a gran voce.

Ad aprire fu la signora Livia la madre adottiva, donna sulla quarantina, sguardo deciso, severo e mani sui fianchi.

- Buona sera.- Disse seria.

-Buona sera a te.- Rispose la ragazzina con un leggero inchino.

Entrò e il calore del caminetto acceso le riscaldò la faccia e le mani gelate.


Ad accoglierla non fu un delizioso odore del cibo sul fuoco come di solito si sente nelle case a quell'ora. L'unico odore era quello della legna bruciata.

Si tolse lo zaino dopo di che andò a sedersi al tavolo della cucina.

-Che si mangia per cena? Chiese muovendo le gambe avanti e indietro.
La matrigna non rispose, le sbatté davanti un bicchiere d'acqua e un tozzo di pane duro.

Annika guardò il piatto delusa e sconsolata -E basta?-

-Ti avevo detto di rientrare per le diciotto e trenta o sbaglio signorina? Sai a chi toccava cucinare oggi. Noi abbiamo mangiato e tu se accetti ciò che hai davanti bene, altrimenti a letto senza cena. Il rientro a scuola era fino alle diciotto e sono le venti dannazione cosa hai fatto tutto questo tempo?-

-Sono stata un pò con Mike. C'è la neve la fuori, avevo voglia di giocare.-
Spiegò con un sussurro Annika mentre cercava di trattenere le lacrime.

-Oggi ti avevo detto di rientrare subito a casa. Avresti dovuto preparare la cena e lavare i piatti.-

La ragazzina sbuffò -Sempre la solita storia. Io me ne vado.- Tagliò corto, si alzò e si diresse in camera sua senza toccare cibo.

Era una stanza quasi priva di arredamento. In mezzo si trovava un letto e accanto ad esso un comodino in legno con una vecchia lampada sopra. Appena entrata sentì come degli occhi addosso che la scrutavano nella penombra, poi vide un movimento sotto il suo letto.

-Brunilde sei tu?- Una gatta adulta dal pelo corto e pezzato nero e grigio uscì allo scoperto.

-Brunilde, quante volte ti ho detto di non entrare in casa quando non ci sono?
Livia ci sgriderà e ti caccerà.-

L'animale la guardò piegando un po la testa da un lato con un leggero miagolio.
Annika si voltò e notò che la finestra era aperta.

-È colpa mia, avrei dovuto chiudere i battenti. Vieni qui.-
Chiuse la porta a chiave e sedette sul letto con le gambe conserte e la gatta tra le braccia.

-Sai Brunilde?- Disse d'un tratto. -Ieri notte ho fatto un sogno. Stavo fuggendo, da la.- La ragazzina indicò la piccola finestra che dava sul prato. -Aprivo le braccia e saltavo giù. Ma non cadevo, volavo! Volavo come un uccello che solca il grande cielo. Oh Brunilde sarebbe così bello! Fuggire lontano da questo maledetto posto.

Chinò la testa sul corpo della gatta e una lacrima le attraversò una guancia.

-Domani è halloween.- Proseguì -Secondo alcune credenze durante questa notte le porte dei vari mondi si assottigliano e possiamo raggiungerli con facilità. Se fosse reale vorrei andare nel luogo più magico, trovare una famiglia che mi rispetti e che si prenda cura di me.-
 
Brunilde le lambì una guancia portando via una nuova lacrima che dall'occhio correva giù.
 
La sveglia suonò alle sette e mezza, ma Annika non voleva alzarsi dal letto.

Era domenica e non doveva andare a scuola ma la matrigna la obbligava ad alzarsi presto per compiere i suoi doveri casalinghi quotidiani.
 

Oggi toccava alla terrazza e il salotto ad essere puliti, in oltre doveva lavare i panni e la stanza sua e dei fratelli.

Si diresse sulla terrazza per fare colazione, la matrigna era già uscita per la passeggiata che era solita fare la domenica mattina, era partita con l'auto per arrivare fino al centro città e curiosare nei negozi mentre lei era costretta in casa a pulire.

Si preparò la colazione a base di latte e qualche biscotto dopo di che guardò sconsolata il disordine di quella terrazza.
Il tavolo in plastica bianca era colmo di tazze piatti e briciole. Nessuno aveva messo a lavare ciò che aveva utilizzato.
 

In un canto, il cumulo della legna da bruciare nel camino era crollato spargendosi su tutto il pavimento.

Era dall'inizio dell'autunno, quando era andata a far legna nel bosco che aveva creato quella catasta di rami ben ordinata. Era impossibile che fosse crollata da sola.
 

Sicuramente ti trattava di qualche dispetto da parte dei fratellastri.
Iniziò dal tavolo ma quando si apprestò a pulirlo dalle briciole un grande insetto si posò su di esso.
 

Annika lo guardò disgustata. -Che schifo!-

Ad un tratto udì delle voci familiari provenire da non molto lontano da lei.
Erano voci allegre da ragazzini.

-Oh no sono loro.- Si disse scocciata. Si voltò e li vide.

I bulletti del paese, la banda dei suoi due fratellastri. Li osservò da lontano e notò ciò che tenevano tra le mani.
Dei palloncini colorati, dovevano essere stati riempiti di acqua e schiuma.
 

La ragazzina si nascose dietro una colonna della terrazza.
Si avvicinavano sempre di più finché Annika poté udire ciò che dicevano le loro voci.

-Oggi ci divertiremo, vedrete come se la darà a gambe piangendo la mocciosa.- Esclamò esaltato uno dei ragazzi passandosi un palloncino pieno d'acqua da una mano a l'altra. Fu seguito dalle risate entusiaste degli altri.

Una cosa simile in estate avrebbe anche potuto accettarla ma in un autunno dal clima così rigido diventa una cosa abbastanza discutibile.
 

Nonostante tutto decise che il divertimento questa volta non sarebbe stato soltanto loro. Quante volte era fuggita in lacrime dalle grinfie dei bulli per nascondersi in camera sua.

Troppe, così tante da diventare il gioco preferito di tutti i ragazzini del paese.

-No. Niente pianti- Si disse decisa. -Non questa volta.-
Rientrò furtivamente in casa e frugò in un cassetto dove ricordava di aver visto la scorta dei palloncini dei fratelli.

Si diresse in cucina e li riempi uno ad uno sotto l'acqua corrente dopo di che si affacciò alla finestra e vide che il figlio dei vicini era fuori a giocare.

-Hey Mike.- Disse piano cercando di non farsi sentire dai ragazzi.
 

-Che c'è Annika?- Esclamò il bambino.

La ragazzina gli fece cenno di far piano e gli mostrò un palloncino pieno d'acqua e schiuma.

-Oggi facciamo guerra bagnata.- Sussurrò.
Gli occhi del bambino parvero illuminarsi. Annika si recò fuori saltellando.
 

Era felice ed eccitata. In poche parole non vedeva l'ora di farla pagare a quei bulletti e si immaginava già le facce sorprese degli altri nel vederla armata.
 

Si divisero i palloncini in due cestini da pic - nic, dopo di che corsero dietro due alberi vicini per nascondersi.

-Mike loro non sanno che siamo armati. Li coglieremo di sorpresa. Al tre saltiamo fuori.- Sussurrò la ragazzina.
 

-Va bene! Disse deciso l'amico rimboccandosi le maniche.
 

-Uno. Due. Tre!- Ad Annika piaceva quell'insieme di paura ed eccitazione che precedevano la lotta. La sua prima battaglia.-

I bambini iniziarono a correre a perdifiato urlando verso i bulli che stavano dando loro la caccia.

Mike inciampò ad un sasso e cadde strappandosi i pantaloni e ferendosi un pochino un ginocchio, la ragazzina lo aiutò a rimettersi in piedi e la guerra ebbe inizio.

Decine di palloncini pieni d'acqua e schiuma iniziarono a volare da una parte all'altra scoppiando alcuni a terra altri sugli indumenti puliti dei ragazzini.

Fu una lotta senza esclusione di colpi.
Si rincorrevano, urlavano e fuggivano in ogni dove. Non facevano caso agli adulti che imprecavano quando andavano a urtare contro qualcuno o qualcosa.

Ad un tratto Annika colpì il fratello dritto in faccia, lui si voltò di scatto e con un palloncino la colpì allo stomaco con forza.

La ragazzina scivolò cadendo a sedere nel fango che aveva creato la neve sciogliendosi lentamente imbrattandosi il vestito da cima a fondo.

-Ho vinto mocciosa!- La schernì lui. Annika si tirò velocemente su incurante.
-Non credere che mi arrenda così facilmente fratellino!- La ragazzina assunse un'aria decisa.

Le mani sui fianchi e la testa alta. Un altro palloncino la colpì da dietro.

Si arrampicarono con agilità su per il tronco. Mike però ad un tratto si fermò mentre la ragazzina era già seduta con le gambe penzolanti su un ramo resistente.
 

-Ehi Annika! Forse è meglio farla finita. Se ti vede Livia ti punisce per settimane.- Ma Annika era galvanizzata.

-Non mi importa di ciò che mi dirà. Siamo nel mezzo di una battaglia e da bravi guerrieri non possiamo arrenderci proprio adesso. Se hai paura puoi anche andartene Mike. Io continuerò a lottare fino alla fine.

-Io non ho paura.- Fece il ragazzino e continuò ad arrampicarsi raggiungendola. -Lo dico per te.
Era un albero abbastanza alto, da lassù potevano tenere il controllo della situazione.

-Chiamami maestro da ora in poi.- Fece lei.

-Perchè una volta tanto non posso fare io il capo?- Chiese Mike sconsolato.

Annika ebbe la risposta pronta. -Capita raramente di giocare e io sono più grande di te ricordalo. Quindi il ruolo da capo spetta a me. E tu devi fare come ti dico io.-

-Mah...- Il ragazzino non ebbe il tempo di controbattere.

Fu interrotto dalle grida dei grandi. -Non vale!- disse uno. -Adesso vi faccio scendere io di li. Non vale arrampicarsi su gli alberi - disse un altro lanciando un palloncino che sfiorò la testa di lei.

-E chi te lo dice?- Disse Annika divertita. -Ci sono forse delle regole? Questa è una vendetta!-

La ragazzina farfugliò qualcosa nell'orecchio di Mike. Il due presero i cestini da pic - nic e versarono tutti i palloncini addosso ai bulli che fuggirono in ogni dove.

Scesero dall'albero, ma la ragazzina non ebbe il tempo di esultare. Si voltò e vide un'automobile rossa fiammante avvicinarsi alla casa.

La riconobbe - Oh no.- Sussurrò preoccupata - È lei-.
-Te l'avevo detto Annika. Non mi ascolti mai.-.
-Dobbiamo fuggire Mike. Tutti e due nel retro dalla casa.- Disse piano.

Iniziarono a correre ma ad un tratto lui mise male un piede e cadde di nuovo a terra.

 
La ragazzina si fermò per aiutarlo. -È possibile Mike? Devi sempre cadere!-

Lo rimproverò. La donna scese dall'auto e sbatté la portiera. Si diresse senza una parola e con moto di rabbia verso la ragazzina, la afferrò per una ciocca di capelli e la costrinse a muoversi verso la porta di casa.

-Esigo una spiegazione signorina. Cosa stavi facendo con quelli scalmanati?
 

-Quante volte ti ho detto di non immischiarti nei giochi dei grandi?-

-Loro mi stavano dando la caccia.- La ragazzina assunse un'aria innocente, le mani dietro la schiena. Facevamo, guerra bagnata.-

-Ti stavano dando la caccia? Quando la smetterai di raccontare balle. E guarda quel vestito. Tutto sporco di fango.

-Ma è vero. Fece la ragazzina con tono sconsolato.-

-Niente ma. Vai a cambiarti e fai subito il bucato maledizione.- Imprecò la matrigna indicando l'interno dell'abitazione.

Annika andò a sostituire il vestito sporco con abiti puliti. Per una settimana le fu proibito di uscire anche solo sulla terrazza, l'unica cosa che avrebbe potuto fare fuori di casa sarebbe stata andare a scuola ma Annika quella notte non chiuse le tende della piccola finestra.

Sdraiata sul letto che cigolava a ogni suo movimento osservava la colline immerse nell'oscurità e la luna ridotta ad una piccola falce.
Desiderava uscire anche solo a pensare e fantasticare nell'oscurità. La matrigna e i fratellastri erano immersi nel sonno più profondo e la ragazzina si sentiva sola, una solitudine che le piaceva.

Per Annika la notte significava libertá.

Ad un tratto udì un rumore e la vide, Brunilde era salita sul davanzale in attesa di entrare ma questa volta fu Annika ad uscire.

Indossò le pantofole, si tolse il pigiama sostituendolo con un paio di pantaloni, una semplice maglietta, imboccò la porta dell'ingresso e si stiracchiò.
“Finalmente libera.” Pensò.

Si diresse verso la finestra di camera sua e prese la gatta tra le braccia.
- Vieni piccola una passeggiata notturna ci attende.-

Attraversarono il prato difronte alla casa, un lieve venticello muoveva l'erba scurita dal buio della notte poi giunsero su un sentiero sterrato al limitare del bosco.

Annika ne era attratta però aveva paura di imboscarsi di notte. "Chi sa quali creature si aggirano al suo interno?" Si chiedeva, ma allo stesso tempo ne era affascinata. Quindi decise di addentrarsi ma solo per un po.

Entrarono nel bosco, la luna e le stelle erano nascoste dalle chiome dei grandi alberi e intorno a loro regnava la più completa oscurità.

I versi di animali notturni un po la inquietavano, ma le piaceva ascoltarli e un pensiero si insinuò nella sua mente. Una cosa che aveva sempre desiderato era arrampicarsi su un albero. 


Lo aveva fatto qualche volta fuori dallo sguardo della matrigna ma il suo desiderio era farlo di notte per ammirare le stelle e sentirsi a loro un po' più vicina.

La scalata ebbe inizio sull'albero più alto. La gatta saltò giù dalle sue braccia e anche lei iniziò ad arrampicarsi saltando agilmente da un ramo ad un altro.

Giunte in cima sedettero su un ramo grande e resistente e Annika poggiò la schiena al tronco.

Le stelle erano ben visibili, nonostante la stagione era una notte bellissima e lei si sentiva appacificata.

Ad un tratto qualcosa di luminoso nel cielo si mosse. La ragazzina escluse che si trattasse di un aereo perché si muoveva troppo velocemente. Allora di cosa si trattava?

-Una stella cadente!- Esclamò felice. -Avanti Brunilde esprimiamo un desiderio.-

Annika unì i palmi delle mani. "Fuggire, volare lontano". Rimase un po ad osservarla e con grande stupore ben presto si accorse che era sempre più vicina alla terra.

-Com'è possibile? Si chiese. Comprese di essersi sbagliata. Se non è una stella allora che cos'è?- Disse un po meravigliata e un po' impaurita mentre quella cosa si avvicinava, scendeva e scendeva. “Un piccolo meteorite?”

Annika era confusa e lo fissò finché lo vide raggiungerla e fermarsi dinanzi a lei.
 

Era una piccola luce blu.

La ragazzina rimase incantata dalla sua strana bellezza. Brunilde che inizialmente pareva spaventata si fece coraggio e allungò una zampa per toccarla ma la luce si scostò.

-Non spaventarla.- Sussurrò la ragazzina alla gatta.

-Cosa sei?- Annika la osservò più attentamente e con grande meraviglia all'interno vide una piccola ragazza dai lunghi capelli che tendeva una mano verso di lei e avvertì una strana attrazione come se dovesse fare lo stesso.

Così fece, allungò un braccio e la sfiorò con la mano che le tremava. 


Non seppe bene ciò che provò, un insieme di emozioni fra lo strano e il meraviglioso che durarono per qualche attimo, troppo poco per esprimerle.